Scritto da Vincenzino Ducas Angeli Vaccaro su www.nuovomonitorenapoletano.it
Sulle
immigrazioni Albanesi in Italia, la più accreditata storiografia
propone tra le più importanti quella avvenuta dopo la morte di
Skanderbeg (1468-1470), quella della caduta di alcune regioni della
Grecia, cadute in "mano turcorum" ( Eubea o Negroponte, Acaia ) del 1473
e quella della resa di Corone, Maupasia o Malvasia e di Napoli di
Romania (1533- 1570).
Un
documento manoscritto, però, di Agostino Tocci risalente al 1650,
rinvenuto in San Cosmo Albanese, nella casa di Flaminio Tocci e
pubblicato a Firenze nel 1866 da Gerolamo De Rada e Niccolò Jeno de'
Coronei come appendice alle "Rapsodie di un Poema Albanese", fornisce
una versione che, oltre ad essere di prezioso ampliamento, trascende
dai dogmi prefissati dalla storigrafia.
Ritengo
opportuno non commentare il manoscritto in quanto già una valida
esegesi della fonte è stata accuratamente data dal Prof.Domenico
Cassiano, sostenendo, in sintesi, che La Memoria di Agostino Tocci del
1650, quasi due secoli dopo la morte di Skanderbeg, nel suo complesso,
costituisce un documento storico di rilevante valore e può essere
considerata una silloge del ricordo popolare, oralmente tramandato di
generazione in generazione, del viaggio travagliato dall'Albania
all'Italia, contenente notizie veritiere e drammatiche.
Agostino
Tocci, nel suo memoriale, prospetta, in maniera epica, una serie di
avvenimenti risalenti il periodo in cui Giovanni, figlio di
Giorgio Castriota Skanderbeg, ormai stabilitosi nei suoi feudi pugliesi
con la madre Donica, vocato dai suoi compatrioti albanesi, nel 1481
tentò, con ardua impresa, la riconquista di quei territori d'Albania
ormai soggiogati dall'orda turca. Giovanni si battè valorosamente e più
volte vinse, ma sicuramente facevano difetto in lui, come scrisse
Alessandro Cutolo, se non il valore, l'accortezza nel guerreggiare di
suo padre e quel grande fascino che mai altro principe aveva avuto
prima di Giorgio Castriota e nessun capo poteva più possedere.
Stremato
da forza avversaria, numericamente più grande e logisticamente più
organizzata, Giovanni radunò a sè i suoi ufficiali con l'intento di far
evacuare dall'Albania la maggior parte di popolazione facendo loro
raggiungere le più sicure coste italiane.
Dal Manoscritto di Agostino Tocci:
"Don
Giovanni, figlio di Skanderbeg,fece levata di tutte le donne, i
fanciulli, i vecchi inabili alle armi unendo navi e barche di negozio,
dalle città albanesi di Vallona di Particci, Musachese, Durazzo, Bojana
Dulcigno e Antivari, via facendo verso il porto di questa, ove erano
unite le navi, col convoglio di quattro galere veneziane, con tutta la
sua gente fatti d'armi. La causa di tanti mali è stata la discordia
avvenuta fra Chimara che è parte dell'Albania e Scodra: divise essendo
queste province da un gran fiume detto Bojana ricco di pesci e di
anguille, di cui si fa traffico.
Vedendo
che l'inondazione dei Turchi sotto la condotta del Granvisir Joussuf
Bassa soggiogava tutta l'Albania, e doveva investire la porzione al di
là dal fiume, i Chimarioti dubitando delle loro case là vicine, uniti in
parlamento e divisi dagli Scodriotti, scrissero al sudetto Joussuf
Bassa che si ritiravano quieti e lasciavano le armi se non desse
molestia alla Chimara; e fu accordato e questi si ritirarono ne' paesi
loro.
Restò
l'altra parte che era della provincia di Scodra che non lasciò l'arme,
ma per non star soggetta a' Turchi, deliberò la partenza, con aver
questi mantenuto con l'armi la loro parola.
Le
donne e i putti mandati furono da essi ad unirsi con altri uomini, che
seguirono D. Giovanni ed altri principi Albanesi. I Cavalieri Albanesi
che comandavano alla soldatesca si chiamavano Cola Mark Shini, Elia
Mallisi, e Marco de Mathia i due Itri erano primarj di Scodra. Nella
milizia erano molte donne vestite militarmente e che accompagnavano con
l'armi in mano i loro mariti, e poi unitamente co' detti militi
s'imbarcarono.
I
Turchi condotti da Joussuf Bassa giunsero fino ad Antivari dove si
erano raccolti gli Albanesi con D. Giovanni Castriota e l'assediarono,
impedendo agli Albanesi di uscire per raggiungere, nella Dalmazia, il
porto di Pastrovich, dove erano già pronte per la partenza le navi
veneziane assoldate.
Gli
assediati, dato fuoco al castello, uscirono alla disperata contro i
Turchi, prendendoli di sorpresa e menando strage nel loro campo,
riuscirono a fuggire nei principi di primavera (si riferisce sicuramente
a qualche anno dopo il 1481) e dopo aver guadato un fiume non senza
perdita di molti Albanesi, pervennero finalmente a Pastrovich, dove
s'imbarcarono per l'Italia. Sulle navi salirono prima le donne, i
vecchi, i bambini e poi D. Giovanni con gli altri soldati.
E
facendo il computo degli imbarcati e delle barche, si trovò molta
gente mancante e morta per strada d'infermità e di mancanza di viveri
per la repentina partenza, e molte barche dalla tempesta di mare
disperse, delle quali non si ebbero più notizie. E piangendo il loro
misero stato e consigliatosi D. Giovanni con i capi de' suoi, si
diressero verso Palermo, dove allora si trovava re Ferrante, al quale
rappresentando il loro misero stato chiesero ajuto e che concedesse
sbarcare tutta la gente.
Ma
il re conoscendo chi erano non volle riceverli nel regno se no avria
mandato a fondo le navi; e così comandò a tutte le sue terre e comando
gente che impedisse lo sbarco per tutto il suo regno. Furono ricacciati
onde sbarcare a Salerno lo fecero dentro Napoli, ed il popolo
Napolitano li acclamava amici e difensori della fede, e li mise in
Castel Nuovo rassettandoli in pochissimi giorni. D. Giovanni lasciò in
Napoli la maggior parte di Albanesi sotto le cure di Cola Mark Shini e
giunse a Roma con pochi soldati ed altri capi e ai piè del Papa con
pianto prorruppe.
Egli essere uno sventurato che per la Fede combattè dodici anni, e che
prima di l'avo padre Skanderbeg e i fratelli di questo avvelenati dal
Turco avevano speso la vita e la fortuna per difendere la Chiesa e che
ora egli caduto e perseguitato da essi nemici de' cristiani, disfatto
dal mare, profugo in terra altrui e senza trovare compassione, anzi
non ricevuto da re Ferrante ne' suoi stati veniva ad implorare
soccorso".
Il Santo padre gli rispose:
"Che
tornasse a Napoli fra i suoi e governasse il suo popolo con amore e
carità; che era suo pensiero conciliare ogni cosa. Così fece che
scrisse a re Ferrante al re di Spagna, al re di Francia e
all'Imperatore che accomodassero D. Giovanni come sovrano e dessero
soccorso alla sua gente. A Napoli, in Castel Nuovo gli Albanesi
dimorarono per quarant'anni.
Ma
per disavventura, sorti dissapori fra il re e i suoi, gli Albanesi
popoli tutti senza mutare stato, furono d'accordo però dispartiti con
le loro famigli in tutto il regno di Napoli e la Sicilia.
Dopo
di ciò il re di Spagna mandò soccorsi a re Ferrante e si fecero a
perseguitare D. Giovanni e tutti gli Albanesi per scacciarli dal regno;
ed essi fattisi forti a non volere uscire, ridotti in Avelline
chiamarono i suoi più vicini e fecero de' fatti d'arme ad Avelline e ad
Ariano.
Poi
ritiratisi a Trebisaccia a riunir le altre gente delle Calabrie, vi si
fermarono alquanto giorni. Ma essendo giunto alle spalle re Ferrante
verso Corigliano, trovatosi in mezzo due eserciti, D. Giovanni dimandò
trombetta di pace, domandando che la pace fosse decisa dal Papa e dalli
altri re cristiani, e che ei si starebbe alla sentenza di quelli.
E
fu accordata la tregua dove si decise che D. Giovanni prendesse San
Pietro Galatina e li altri Albanesi sua grazie privilegi di
Franchigie e distribuzione di denaro per sussidio siccome quelli della
Dogana di Ferro: dover però gli Albanesi andare distribuiti pel regno
tutto di Napoli e di Sicilia ed esservi incorporati ne fare città essi
senza il consenso del re di Spagna."
Il
manoscritto è una sintesi, in realtà, di una raccolta di annedoti che
in tutte le comunità Albanesi i nostri vecchi, ancora, con acceso
fervore epicamente raccontano.
Sulla autenticità del documento alcuni storici si sono espressi con
riserbo, ma a noi abbiamo pensato di proporlo ugualmente con il
beneficio del dubbio.Fonte http://www.nuovomonitorenapoletano.it/
Nessun commento:
Posta un commento